Virtù del comportarsi piacevolmente e del divertirsi con modo.
Dal greco eutrapelìa, composto da eu “bene” e trepò “volgere”.
Se il vivere civile ha dei cardini, uno di questi è la “eutrapelìa”.
Si tratta di una vera e propria virtù, per come è scritta nell’ Etica di Aristotele e nel Convivio di Dante.
Essa consiste nella capacità di vivere il divertimento in maniera piena e moderata, specie in compagnia, e di porsi con gli altri in maniera piacevole e ridente.
Aristotele la pone come giusto mezzo fra boria e buffoneria. Dante la rimarca come inclinazione a godere convivialmente con cordialità e affetto.
Due sono le chiavi di questa virtù: il sorriso e la misura.
Certo la satira più graffiante e la più dignitosa serietà hanno le loro funzioni, ma nell’ottica della vita sociale è l’eutrapelìa ad assicurare il più piacevole risultato.
Passa per la capacità di trarre un piacere contento dalla situazione in cui ci si trova, per una profonda comprensione degli altri, e di come tenere lo spirito leggero, senza macigni.
Di per sé è un carattere splendido: ma se identifichiamo l’eutrapelìa come virtù (etimologicamente, la virtù di ‘volgere al bene’) allora implichiamo che possa e anzi debba essere esercitata.
Ad esempio, si può nascere con un’inclinazione all’onestà, ma l’onestà è una virtù che va allenata per tutta la vita, e tale è l’eutrapelìa.
È un muscolo morale. Il saper trarre e offrire un piacere moderato, senza frigidità e sgangheratezze, è una base solida su cui costruire la propria vita.